10 marzo 2025

20 anni fa, in questo giorno, Patience Gray lasciava il pianeta. Il giorno del suo funerale la musica popolare salentina l’ha accolta in chiesa, per farle coraggio e compagnia. Poi il suo corpo si è fermato nel cimitero di Salve, dove ancora oggi una piuma argentata la ricorda.

Per onorare la sua memoria è sembrata opportuna una visita a Carrara, la città dove Patience e Norman hanno vissuto diversi anni, lui scolpendo il marmo e imparando l’italiano insieme ai cavatori al bar di Clara, lei incidendo gioielli e imparando i nomi delle erbe selvatiche insieme alla signora Dirce su per i monti.


Alle volte capita di recarsi in un posto nuovo con intenzione e qualche idea immaginaria. Nel caso di Carrara, grazie ai racconti di Pazienza, c’erano due specifiche attese: il passato anarchico e la “piazzetta” del mercato.

“Molti vedono l'anarchismo come sintomo di frammentazione sociale, lo confondono con l'anarchia. L'anarchismo - che ammette sia l'individualismo che la fratellanza umana - è una forza positiva. Chiunque abbia trascorso del tempo a Carrara lo riconosce come stile di vita.”

(Patience Gray. HFAW, pag. 219)

Esattamente 60 anni fa, nella primavera del 1965, Patience si stava preparando per trasferirsi definitivamente a Carrara dopo averci già trascorso lunghi periodi a partire dal ‘62. Negli anni sessanta la città era un luogo vivace, abitata da tante e tanti, ma soprattutto animata da cavatori di marmo anarchici e scultori da tutto il mondo.


Carrara, una piccola città industriale circondata dalle Alpi Apuane, e che un tempo Lady Blessington, scrutandola dall’alto della sommità del monte Foce mentre il cocchiere aveva fatto riposare i cavalli, scambiò per un “paradiso in terra”, quando ci abbiamo vissuto noi era ancora abbastanza piccola da essere invasa dal profumo di miele dei fiori di acacia che scendeva dai boschi delle colline nel mese di maggio. Le montagne striate di bianco dalle cave, osservate a distanza sotto il sole luccicano come cascate.”

In piazza Alberica ci sono delle panchine di marmo al sole e tre signore che chiacchierano. Basta chiedere di Piazza delle Erbe che arriva la prima domanda: cerchi la Francesca Rolla? No, cerco la Piazzetta, quella dove si teneva il mercato. La signora Antonella si illumina. Se lo ricorda lei, il mercato. Su per quella via c’erano i banchetti del pesce, poi si arriva nella piazza.


Antonella è del ‘55, quando Pazienza si muoveva nelle stesse viuzze aveva 10 anni e ci andava la mattina presto, perché con la nonna si era al mercato tassativamente alle 8: “per sverginare le cestine”. Dice proprio così Antonella, la nonna voleva essere la prima a tastare la frutta e la verdura che le contadine portavano dai campi e che esponevano in ceste di vimini, un po’ allungate. Tutte le avventrici avevano il diritto di toccarle e assaggiare. Alla fine della mattina, la roba era diventata matura. Ride, ricordando i modi di dire della nonna e tutto il cibo che la gente assaggiava di nascosto al mercato. “Noi siamo anarchici, facciamo come ci pare!” Dice a un certo punto Antonella parlando dei carraresi. Ha ragione: l’anarchismo si percepisce. È presente anche per le strade, all’interno dei negozi, sui muri dei vicoli che portano a Piazza delle Erbe.

“La piazzetta non era soltanto una delizia per gli occhi, ma anche un costante richiamo olfattivo all’abbondanza di odori quotidianamente saccheggiati dalla terra. Era gestito da signore anziane con un istinto avaro: esponevano i loro prodotti su tavoli con cavalletti. In inverno si scaldavano con braci ardenti in piccoli secchielli di ferro chiamati “caldanin”, che significa “scalda bimbo”. In estate queste signore si tenevano fresche coprendosi la testa con una larga foglia di cavolo. Avevano un’inesorabile curiosità riguardo la vita privata di ogni persona.”

(Patience Gray, HFAW, La Piazzetta)

Alla piazzetta arrivano tante stradine, ognuna un tempo dedicata ad un cibo diverso. É un piacere, quasi un pensiero comico, immaginare Pazienza, una donna di una certa statura rispetto alle contadine della Versilia , muoversi col proprio italiano incerto tra le dinamiche vivaci del mercato che cambiava seguendo il procedere delle stagioni alimentando “una passione per la gioventù e la freschezza”.

“Le pescivendole erano posizionate in uno dei vicoli in fondo al mercato, dove il pesce fresco (il porto era distante solo sette chilometri) veniva impilato senza cura su tavoli di legno. Questo vicolo risuonava di grida frenetiche. Si aveva sempre la sensazione di aver vinto una battaglia quando ci si ritirava dal trambusto con sardine o alici fresche, o con uno sgombro, una trota di fiume, piccole sogliole o un cefalo.”

(Patience Gray, HFAW, La Piazzetta)

All’inizio c’erano le cestine, poi sono arrivate le cassette. Poi, con gli anni ‘70, il mercato è stato spostato fuori città, o meglio nella zona che sarebbe diventata la nuova città. Il centro si è svuotato, tanti negozi hanno chiuso, le serrande tirate si susseguono.


In quello spazio chiuso affettuosamente chiamato “la piazzetta” oggi c’è un enorme murales. Un ritratto di Francesca Rolla, staffetta partigiana che nel 1944 contribuì alla liberazione di Carrara. Sul muro si legge “non abbandonare la città!”. Il messaggio contrasta con lo stato delle cose. La piazza è silenziosa, deserta. Un solo piccolo bar aperto, lenzuola stese ad asciugare al sole, una rosticceria sta per chiudere per il riposo pomeridiano. Tutti chiudono, anche il bar.


Carrara non si piega alla legge dell’orario continuato.